L’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA TRA BARATTO AMMINISTRATIVO, OPERE PUBBLICHE E ACQUISIZIONE DI IMMOBILI.
di Cristina Carpenedo
In tempo di crisi economica delle attività e delle famiglie i comuni si trovano ad affrontare richieste mosse dalla buona volontà dei debitori ma completamente difformi rispetto a un sistema normativo fondato sull’indisponibilità dell’obbligazione tributaria. A testimonianza di quello che sta accadendo in questo periodo storico, ci sono due recenti sentenze della Corte dei Conti che si pronunciano, una sul tema della compensazione dei debiti con opere pubbliche, e un’altra sul confine del baratto amministrativo.
La compensazione dei debiti con le opere pubbliche è stata trattata dalla Corte dei Conti Marche, deliberazione 12 del 21 gennaio 2016, in risposta a un quesito circa la possibilità di prevedere in un regolamento comunale la compensazione dei debiti avanzati da terzi, consentendo a tali terzi, di essere autorizzati ad eseguire opere pubbliche per l’intero importo del debito comprensivo degli interessi maturati, previa apposita progettazione interamente comunale. Il giudice contabile è lapidario: sarebbe un raggiro dei principi tutelati nel codice dei contratti. Com’è noto il D.Lgs. 12/04/2006, n. 163 (“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture ) impone alle “amministrazioni aggiudicatrici”, come definite all’art. 3, comma 25 del medesimo decreto, e con esclusione delle sole ipotesi tassativamente previste in via d’eccezione, di osservare le regole della c.d. evidenza pubblica per la conclusione di contratti aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere. La natura assolutamente inderogabile della citata normativa rende pertanto del tutto impraticabile qualunque comportamento che di fatto ne realizzi una sostanziale elusione. E’ una pronuncia che risponde a tutte quelle proposte di compensare sia con lavoro sia con forniture di beni, i debiti che un’attività economica possa aver maturato per ragioni diverse, a maggior ragione valevole anche per i tributi locali.
Altro strumento di cui si parla molto in questi giorni è il Baratto amministrativo fondato sull’articolo 24 del dl 133/2014, che concede ai comuni la possibilità di definire con apposita delibera criteri e condizioni per la realizzazione di interventi su progetti presentati da cittadini singoli o associati, in relazione al territorio da riqualificare. Gli interventi possono riguardare la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade, ovvero interventi di decoro urbano, di recupero, di riuso, con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere per la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano ed extraurbano. La seconda parte della norma prevede che In relazione alla tipologia dei predetti interventi i comuni possono deliberare riduzioni o esenzioni di tributi inerenti il tipo di attività posta in essere. L’esenzione è concessa per un periodo limitato e definito, per specifici tributi e per attività individuate dai comuni, in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Un’interpretazione dell’IFEL del 22 ottobre 2015 riconobbe che i potenziali beneficiari delle agevolazioni potessero essere anche singoli associati, le tipologie di attività indicate nelle norme non sarebbero da considerarsi tassative, le agevolazioni potrebbero essere concesse con riferimento a debiti pregressi del contribuente, anche di natura non tributaria (entrate patrimoniali).
La Corte dei Conti dell’Emilia Romagna, con deliberazione 27 del 23 marzo 2016, ha chiarito che il baratto amministrativo non è una prestazione in luogo dell’adempimento e che l’obbligazione tributaria è indisponibile ai sensi degli articoli 23 e 57 della Costituzione, derogabile sono in forza di specifiche disposizioni di legge. L’articolo 24 consente di creare una agevolazione che può assumere la forma della riduzione o dell’esenzione di tributi a favore di cittadini singoli o associati, che abbisogna di un regolamento comunale che definisca gli interventi possibili al fine di assolvere alla stretta inerenza tra le esenzioni e/o le riduzioni di tributi che il comune può deliberare e le attività di cura e valorizzazione del territorio sopra indicate che i cittadini possono realizzare.
L’esenzione dal pagamento dei tributi locali può essere concessa per un periodo limitato e definito di tempo, per tributi specifici, per tipologie di attività individuate dai comuni in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività posta in essere. Le agevolazioni fiscali sono concesse “prioritariamente” a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute. La presenza dell’avverbio “prioritariamente” e l’espressa previsione contenuta nel primo periodo della disposizione, significa che anche cittadini singoli possono presentare progetti relativi ad interventi di cura e valorizzazione del territorio cui possono conseguire benefici collegati ad agevolazioni tributarie.
Altro passaggio importante del parere della Corte che risolve l’equivoco in cui sarebbero caduti numerosi regolamenti locali sul tema, è l’impossibilità di consentire che l’adempimento di tributi locali, anche di esercizi finanziari passati confluiti nella massa dei residui attivi dell’ente medesimo, possa avvenire attraverso una sorta di datio in solutum ex art. 1197 c.c. da parte del cittadino debitore che, invece di effettuare il pagamento del tributo dovuto, ponga in essere una delle attività previste dalla norma e relative alla cura e/o valorizzazione del territorio comunale. La Sezione ritiene che tale ipotesi non solo non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della norma in quanto difetterebbe il requisito dell’inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai soggetti amministrati, elementi che, peraltro, devono essere preventivamente individuati nell’atto regolamentare del Comune, ma potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio considerato che i debiti tributari del cittadino sono iscritti tra i residui attivi dell’ente
Letta in questo modo i conti tornano: quello che definiamo come baratto amministrativo è una agevolazione sui tributi a favore di quelle fattispecie predefinite nel regolamento che premiano chi svolge determinate attività a favore della collettività. Il comune le deve quantificare per stanziare il relativo fondo a copertura del mancato gettito e mai potrà agire su carichi pregressi. A nulla rilevano questioni di “prestazione lavorativa” trattandosi appunto di agevolazione tributaria. Sostanzialmente, prima nasce l’azione del cittadino che compie determinate attività favorevoli alla collettività, anche su guida dell’ente, in presenza delle quali potrebbe poi rientrare nella fattispecie agevolativa che riducono il tributo dovuto. Aggiungiamo che ben altro mondo sono le entrate patrimoniali, che non subiscono il vincolo dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria ma necessitano comunque di una valutazione di contemperamento degli interessi coinvolti.
Infine, altra esperienza affrontata dai Comuni è la proposta di acquisizione di beni immobili a compensazione di debiti di vario genere compresi quelli tributari. In primo luogo dobbiamo partire dall’accertamento di valenza pubblica del bene dichiarato dal Consiglio comunale. Solo se quel bene risponde agli obiettivi di interesse pubblico che si è posta l’amministrazione, è possibile avere la base di partenza per costruire un’operazione che, in ogni caso, non può essere regolamentata per diventare un modus operandi di adempimento delle obbligazioni né può raggirare le disposizioni dei codici dei contratti quando quel bene sia acquisibile nel mercato dei beni.
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