La diffida del TAR Lazio al Ministero dell’Ambiente affinchè provveda all’adozione dei criteri di assimilazione dei rifiuti urbani agli speciali, porta alla ribalta la tormentata vicenda dell’applicazione della tassa rifiuti alle imprese. Nella sentenza 4611 del 1 marzo 2017, il Tribunale amministrativo dichiara l’illegittimità del silenzio inadempimento a carico del Ministero dell’Ambiente per non aver adottato il decreto che fissa i criteri di assimilabilità dei rifiuti speciali agli urbani, previsto dall’articolo 195 comma 2 lettera e) del codice ambientale, con obbligo di concludere il procedimento, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, entro 120 giorni dalla comunicazione della sentenza. L’assimilazione è quel canale amministrativo che serve ad ampliare la privativa (monopolio) del comune in quanto unico soggetto che può svolgere il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani e assimilati. Infatti, il comma 641 dell’articolo 1 della Legge 147/2013 stabilisce che Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. I rifiuti urbani sono quelli prodotti dalle utenze domestiche e dallo spazzamento delle strade mentre, tutto ciò che è prodotto dalle attività economiche, sono speciali per provenienza. Lo stesso pezzo di carta, quando è prodotto a casa, si classifica rifiuto urbano mentre, quando prodotto in ufficio, è rifiuto speciale. Per convertirlo in urbano serve la delibera di assimilazione comunale che, in ogni caso non può includere i rifiuti speciali pericolosi che restano non assimilabili. Le competenze (potestà) dei comuni sono fissate anche dal codice ambientale (d. lgs 152/2006) che all’articolo 195, comma 2, affida l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), ferme restando le definizioni di cui all’articolo 184, comma 2, lettere c) e d).
Il livello di assimilazione va definito sulla base della capacità del servizio pubblico. Per questa ragione possono essere posti sia dei limiti di qualità, sia dei limiti di quantità che, secondo diverse pronunce, vanno obbligatoriamente fissati. L’esercizio della potestà dei comuni assume a riferimento i criteri contenuti nella delibera interministeriale del 27 Luglio 1984, che risulta ancora attuale grazie a una serie di rinvii contenuti nel codice ambientale, in attesa dei nuovi decreti ministeriali sul punto. Infatti, all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice ambientale si innesca una fase transitoria sul versante dell’assimilazione che perdura ancora oggi. Il decreto ambientale è entrato in vigore il 29 aprile 2006 solo parzialmente, causando l’abrogazione di una serie di norme tra cui, alla lettera i), il D. Lgs 22/97 disponendo però che, al fine di assicurare che non vi sia soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa alla parte IV del decreto, i provvedimenti attuativi del 22/97 continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti previsti dalla parte IV. Speculare la norma del successivo articolo 265 che, al comma 1, stabilisce che le vigenti norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle corrispondenti specifiche norme di attuazione della parte IV. Come esplicitava la Finanziaria per il 2007 con riferimento alla lettera b) del comma 1 dell’art. 184, nelle more della completa attuazione delle disposizioni di cui al d.lgs. 152/2006 in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani si continuano ad applicare le disposizioni degli articoli 18, comma 2, lett. d) (competenza statale dei criteri di assimilazione) e 57, comma 1, del d.lgs. 22/97, che disponeva la permanenza delle norme regolamentari e tecniche di disciplina dei rifiuti sino all’attuazione del Decreto Ronchi. Il circuito di rinvii conferma l’impianto fondato sulla delibera interministeriale del 27/07/84 che detta unicamente dei criteri qualitativi. Restano così nel limbo i criteri quantitativi, per anni non definiti dai comuni. La presenza di rifiuti speciali non assimilabili ovvero non assimilati comporta l’esclusione della Tari per quella parte di superficie ove la produzione sia continuativa e prevalente.
L’assimilazione quantitativa, che richiede dei dati tecnici di pesatura e un controllo costante sulla relativa produzione da parte delle attività economiche, spesso viene applicata richiamando i coefficienti Kd del DPR 158/99 ovvero viene limitata a quelle tipologie che possono essere più onerose per il gestore da servire. L’impossibilità di controllare il superamento del limite si traduce nel rischio di perdere il gettito della tassa rifiuti, escluso sia per la quota fissa che per la quota variabile. Ragion per cui, ogni limite va scritto se l’ente è in grado di pesare i quantitativi conferiti al servizio e fermare il servizio al superamento del limite, oltre il quale il produttore potrà rivolgersi altrove ovvero continuare col servizio pubblico alle condizioni previste. La definizione dei limiti qualitativi e quantitativi di assimilazione è la base per l’applicazione delle norme in materia di tassazione delle superfici delle attività economiche, secondo le regole normative che partono dal comma 649 dell’articolo 1 della Legge 147/2013. La situazione di autonomia che regna a favore dei comuni, pur da esercitare nel rispetto del principio inquinatore/pagatore, si scontra con l’esigenza di liberalizzazione del mercato di gestione dei rifiuti.
La decisione del TAR è applicazione delle regole di inerzia della PA a tutela di quei soggetti che possono riceverne un danno ingiusto. La condanna, pur discutibile anche nelle scarse motivazioni addotte, è un segnale scritto a tutela del privato rispetto all’inadempimento della PA, leso per la sottrazione di risorse al mercato causato dalla eccessiva assimilazione applicata dai comuni. Rimane difficile immaginare quali e quanti possano essere i danni risarcibili al privato, anche qualora il Ministero non provvedesse nei tempi assegnati. Non si tratta di concludere un procedimento ma di disegnare un sistema. Il tema dell’assimilazione non può essere affrontato in pochi attimi con il rischio di penalizzare l’intero sistema pubblico di gestione dei rifiuti.
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