La recente ordinanza 15044 del 16 giugno 2017 sulla Tarsu, offre lo spunto per indagare sulle similitudini e le divergenze che caratterizzano la nuova TARI rispetto alla vecchia tassa. Una riflessione necessaria vista la confusione generata dai comuni in fase di applicazione della più giovane tassa, troppo spesso declinata specularmente alla Tarsu, giunta ormai al capolinea del quinquennale recupero retroattivo. La Tarsu ha trovato applicazione fino al 31.12.2012 per lasciare spazio nel 2013 alla Tares e, dal 2014, alla TARI prevista dalla Legge 147/2013. Il decreto legislativo Tarsu 507/93 costruì una disciplina garantista sul fronte dell’obbligazione tributaria, bilanciando il presupposto di occupazione o detenzione con le deroghe puntualmente indicate nell’articolo 62 Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione. Come confermato dall’ennesima pronuncia di Cassazione sul punto, le deroghe del comma 2, sollevate spesso da contribuenti in caso di inutilizzabilità degli immobili, non operano per la mera situazione di fatto ma soltanto ove questa sia indicata nella denuncia originaria o di variazione. Una norma analoga non c è nella legge 147 relativa alla TARI! Anzitutto la TARI presenta una struttura dell’obbligazione fondata sul presupposto del possesso o detenzione, situazioni che richiedono comunque un titolo di occupazione, qualificato nel primo caso e di altro genere nel secondo. L’obbligazione scatta, ai sensi del comma 642 dell’articolo 1 della Legge 147/2013, per effetto del possesso o della detenzione di locali o aree suscettibili di produrre rifiuti. Continua ad essere necessaria e sufficiente la suscettibilità del locale idoneo anche se non effettivamente utilizzato, elemento che concede al contribuente il beneficio di non pagare quando dimostri che non vi è idoneità. Nessun riferimento all’obbligo dichiarativo come condizione costitutiva per non pagare la TARI come invece contemplava l’articolo 62. Veniamo così a un aspetto di profonda diversità tra la Tarsu e la Tari costituito dal valore dell’obbligo dichiarativo. Con l’entrata in vigore della IUC, il sistema dichiarativo ha ricevuto una disciplina comune per IMU TASI e TARI stabilendo una regola secca prevista dal comma 684 secondo cui “I soggetti passivi dei tributi presentano la dichiarazione relativa alla IUC entro il termine del 30 giugno dell’anno successivo alla data di inizio del possesso o della detenzione dei locali e delle aree assoggettabili al tributo. Nel caso di occupazione in comune di un’unità immobiliare, la dichiarazione può essere presentata anche da uno solo degli occupanti”. Il successivo comma 685 prevede che la dichiarazione abbia effetto anche per gli anni successivi ma, in caso di modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un diverso ammontare del tributo, la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di variazione.
Il termine concesso per presentare la dichiarazione è cosa ben diversa dalla decorrenza della variazione di quanto dichiarato, che invece deve rispondere al principio dell’effettività che trova diverse declinazioni a seconda degli elementi che variano. La prima regola è quella della decorrenza dal momento della dichiarazione, salvo elementi probatori diversi. Ad esempio, la cessazione di utenza può essere dichiarata entro giugno dell’anno successivo ma la sua decorrenza dipende dalla documentazione in grado di dimostrarne la cessazione (anagrafe, contratto di locazione, cessazione di utenze). La modifica della destinazione d’uso e conseguentemente della tipologia tariffaria va comprovata da elementi concreti. Se un’area è adibita a vendita piuttosto che a magazzino, sarà difficile per l’utente provare la decorrenza retroattiva pur nel rispetto del termine di presentazione della dichiarazione. Se invece un’utenza cambia la tipologia di attività svolta, la documentazione a supporto potrà essere costituita dalle modifiche presentate in CCIAA.
Va ricordato che, rispetto alla Tarsu, la Tari non ha una disciplina specifica sulle decorrenze. E’ sufficiente leggere l’articolo 64 sulla decorrenza dell’occupazione e l’articolo 66 sulle riduzioni (del d.lgs 507/93), per rendersene conto. La diversa Tari è retta dal principio dell’effettività in quanto coerente con il paga chi inquina. Effettività di inizio o cessazione del possesso/detenzione dei locali e aree idonee. Nessuna norma regolamentare può modificare la struttura dell’obbligazione sugli aspetti essenziali di decorrenza. Discorso diverso va fatto per le agevolazioni dove è il legislatore stesso a dare facoltà di disciplina ai comuni. Il regolamento descrive le condizioni per il riconoscimento del beneficio e le regole sulla decorrenza ai sensi del comma 682 dell’articolo 1 della legge 147.
Per quanto si legga sempre più spesso che la Tari è la continuazione della Tarsu, ciò non significa modificare la struttura tributaria in nome dell’analogia. Inizio e cessazione dell’occupazione sono governate unicamente dalla legge 147, senza deroghe, salvo quelle esplicitamente scritte dal legislatore. Eventuali descrizioni di fattispecie che non pagherebbero in virtù della inidoneità a produrre rifiuti (aree sportive, di manovra, impraticabili, sosta veicoli, ecc), possono essere viste come presunzioni derivate dalla prassi e dalla giurisprudenza Tarsu, legittime solo nei limiti del principio del paga chi inquina, fondato sull’effettività e ben più dinamico di regole forfettarie sulle decorrenze scritte in nome dell’autonomia regolamentare.
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