Sembra ormai assodato che il Decreto legislativo 22/97 meglio noto come Decreto Ronchi sia stato la causa di un equivoco di fondo che da anni accompagna l’applicazione della tassa rifiuti: la tassa è sempre dovuta in caso di detenzione di locali e aree scoperte idonee alla produzione di rifiuti anche se i rifiuti non li fanno. L’idoneità non si misura sui rifiuti bensì sulla possibilità di utilizzo del bene da parte delle persone.
Sembrava tutto chiaro nel d lgs 507/93 fino a quando l’avvento del principio paga chi inquina contenuto nel decreto ronchi, costante del codice ambientale e della successiva legge 147/2013, ha diffuso la convinzione dell’effettiva presenza di rifiuti a valere su ogni questione.
Niente di più errato. Il principio del paga chi inquina è stato tradotto nella legislazione italiana come criterio di redistribuzione dei costi destinati a finanziare il servizio rifiuti, sempre obbligatorio in caso di detenzione di locali idonei a produrre rifiuti urbani e assimilati, sulla base del dominante principio della presunzione di produttività.
La Tari nasce come componente della IUC nella legge 147/2013, in abrogazione della Tares prevista dall’articolo 14 del dl 201/2011, applicata solo nell’anno 2013. In alternativa alla Tari è possibile, in presenza di determinate condizioni, applicare la Tariffa corrispettiva (TARIP).
Ai sensi del comma 641 dell’articolo 1, Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
Il possessore è colui che esercita un potere di fatto sull’immobile corrispondente a quello esercitato dal titolare di diritti reali. Il detentore è colui che dispone dell’immobile a qualsiasi titolo, anche senza essere necessariamente titolare di diritti reali.
Il presupposto della tassa non necessita dell’uso concreto bensì del possesso o detenzione di locali resi astrattamente idonei all’uso. Il filo conduttore di tutti i prelievi sui rifiuti è la presunzione di produttività. Ciò che rileva è la disponibilità di un locale o area scoperta operativa idonea all’uso quale condizione oggettiva. La presunzione di produttività opera fino a prova contraria fondata non sulla volontà del soggetto passivo di utilizzare o meno il bene, bensì sulla inidoneità per motivi strutturali o di servizi minimi ad essere utilizzato.
Il tema dell’inidoneità dei locali è da sempre oggetto di discussione. I requisiti sono stati ereditati dalla Tarsu e vengono esplicitati nei regolamenti, anche seguendo le indicazioni delle linee guida ministeriali che furono scritte per la Tares. In linea di massima si tratta di:
- Abitazioni prive di servizi rete, di arredo, condizioni di inagibilità e altre forme di inidoneità del locale
- Attività produttive: mancanza dei requisiti amministrativi per l’esercizio dell’attività ovvero inidoneità strutturale o di servizi, all’uso del locale.
- Aree impraticabili
- Presenza di macchinari a corpo
- Aree in disuso
L’eredità Tarsu porta con sé i principi del non assoggettamento alla tassa per i locali e le aree che non possono produrre rifiuti: per natura vale a dire impraticabilità, abbandono o per il particolare uso cui sono destinati stabilmente ( sporadica presenza umana, produzione a ciclo chiuso) ovvero risultano in obiettive condizioni di non utilizzabilità (locali non arredati, non allacciati ai servizi di rete).
Si tratta di circostanze che vanno indicate nella denuncia e riscontrate in base a elementi obiettivi direttamente rilevabili o idonea documentazione. Il principio delineato dalla Cassazione pone in capo al Comune di fornire la prova dell’obbligazione tributaria data dal presupposto di occupazione di superfici idonee mentre incombe sul contribuente dimostrare il diritto alla riduzione (Cassazione 33/2015 e 17623/2016)
Analogo discorso per i garage e box auto che in questo contesto rappresentano l’emblema dell’equivoco: si tratta di locali che presentano una idoneità all’uso connaturata alla loro destinazione la cui valutazione va eseguita sulla base della specifica destinazione d’uso. Sostenere che il garage dove si colloca l’automobile non versa rifiuti in quanto vuoto (e pure privo di utenze) non è certamente sufficiente a dimostrare l’inidoneità all’uso posto che i requisiti di idoneità sono compatibili con le suddette caratteristiche (vuoto e privo di utenze).
Sul punto è significativa l’ordinanza della Cassazione 17623/2016: Ne deriva che sarebbe spettato al giudice del merito acclarare se – in concreto – la parte contribuente avesse dimostrato adeguatamente i presupposti fattuali per poter beneficiare delle citate disposizioni di esclusione dall’assoggettamento al tributo, senza limitarsi a dare atto che della prova doveva considerarsi raggiunta in considerazione del solo presupposto della peculiare destinazione funzionale dell’immobile (ad autorimessa), e …. in virtù del fallace assunto secondo cui un locale adibito a garage non possa che ritenersi, di per sè, improduttivo di rifiuti solidi urbani. Assunto che si palesa in contraddizione con la fonte normativa primaria, dalla quale sono eccepite le sole aree scoperte pertinenziali od accessorie di civili abitazioni, salva la specifica dimostrazione di cui si è detto a riguardo dei locali e delle aree di diversa natura, ciò che suppone inevitabilmente un accertamento preventivo ed individualizzato. Sulla stessa linea la sentenza della Cassazione 1711/2017.
Ai sensi del comma 642 dell’articolo 1 della Legge 147. La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di pluralità di possessori o di detentori, essi sono tenuti in solido all’adempimento dell’unica obbligazione tributaria.
Un segnale forte in tal senso si legge anche nel decreto TARIP del 20 aprile 2017 all’articolo 2, comma 1, lettera c) recante la definizione di utenza intesa come unità immobiliari, locali o aree scoperte operative, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e/o assimilati e riferibili, a qualsiasi titolo, ad una persona fisica o giuridica ovvero ad un “utente”.
La suscettibilità dei locali esprime l’idoneità del locale ad usufruire del servizio, indipendentemente dall’uso effettivo.
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