La ragionevole produzione di rifiuti non è l’effettiva. Possiamo riassumere così il ragionamento della Corte di Cassazione contenuta nell’ordinanza 23949/2019 di rinvio alle sezioni unite della questione relativa alla natura giuridica non solo della TIA 2, ma anche della nuova TARIP.
Analitica la ricostruzione giurisprudenziale condotta dalla Corte in ordine alle diverse pronunce che si sono susseguite negli ultimi anni sulla denominazione di tariffa, ove il filo conduttore della natura giuridica tributaria trova perno in due aspetti fondamentali, costituiti dalla presunzione di produzione conseguente alla mera occupazione di locali idonei all’uso e dal finanziamento dei cosiddetti rifiuti esterni provenienti dallo spazzamento di strade e aree pubbliche.
Fondare la natura corrispettiva di un prelievo sul dato letterale del testo normativo che qualifica come corrispettiva la TIA 2 piuttosto che la TARIP, appare insufficiente e contrario all’orientamento costante della giurisprudenza della Consulta secondo cui, ai fini della qualificazione di una entrata, il nomen iuris non è decisivo.
Con specifico riguardo alla TIA 2, la disciplina normativa non attribuisce alcun sostanziale rilievo alla volontà delle parti: il servizio deve essere obbligatoriamente istituito dal comune e le parti non possono sottrarsi. Anche in tal caso il costo del servizio copre lo spazzamento delle strade e l’importo è parametrato sulla presuntiva produzione di rifiuti urbani, essendo commisurato alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie. La riflessione si sposta poi sul regolamento del comune che, di fatto, attua fedelmente le indicazioni normative contenute nell’articolo 238 del d lgs 152/2006 e che offriva diversi spunti di carattere tributario, non ultimo, la possibilità di utilizzare il parametro della redditività.
Sulla scorta delle valutazioni puntuali condotte sulla TIA 2 la Corte ritiene necessario un pronunciamento delle sezioni unite anche in considerazione dell’avvento della nuova TARI corrispettiva prevista dal comma 641 dell’articolo 1 della Legge 147/2013. Secondo la Corte il testo normativo sembra strutturato in maniera tale da presentare le medesime problematiche della TIA 2 in ordine alla qualificazione tributaria o privatistica.
Riflessioni sul caso
Che la natura della TIA 2 fosse in bilico a causa della disciplina fortemente tributaria disegnata dai 12 commi dell’articolo 238 del codice ambientale era facilmente ipotizzabile fin dalla prima lettura del testo: la presenza di elementi reddituali non poteva passare inosservata, come la formulazione del presupposto e della tariffaria, quasi gemella della TIA 1, da applicare nelle more di un regolamento attuativo mai emanato.
Duplicare la stessa riflessione sulla nuova Tariffa rifiuti, che poggia la sua istituzione sull’unico annuncio di applicare una tariffa avente natura corrispettiva solo in presenza di un sistema di misurazione puntuale, è quanto mai frettoloso. Il comune che voglia istituire un servizio corrispettivo deve dotarsi di un sistema di misurazione puntuale in grado di collegare il prelievo al servizio reso, secondo le indicazioni del decreto ministeriale 20 aprile 2017. Il documento, di fatto, si occupa di quota variabile, che rappresenta la vera componente a corrispettivo, lasciando aperta la questione sulla quota fissa della tariffa, deputata a finanziare i famosi costi collettivi. Esplicitare il peso della componente fissa diventa sempre più necessario per evitare strutture tariffarie eccessivamente piatte e meno collegate alla produzione effettiva. Pensare di escludere la natura corrispettiva a causa della componente fissa, a prescindere dal suo impatto sulla tariffa complessiva, non risolve ancora una volta la questione. Non possiamo infatti trascurare che il regime a corrispettivo è tra i più idonei a massimizzare l’efficienza voluta dal sistema europeo sulla raccolta differenziata e sulla premialità tariffaria per quei cittadini che si impegnano nel recupero delle risorse ambientali ed è l’unico idoneo a consentire la completa esternalizzazione del servizio al gestore dei rifiuti.
D’altra parte il legislatore della legge 147/2013 non ha scritto molto sulle caratteristiche della tariffa, rinviando ai regolamenti comunali lo sviluppo del sinallagma, senza valorizzare il binomio costituito dalla cosiddetta presunzione di produttività, ripreso invece dal decreto del 2017 solo nella parte in cui delinea l’idoneità dell’unità immobiliare a produrre rifiuti.
La decisione della Corte di ridefinire nuovamente la natura giuridica dei diversi prelievi tariffari non potrà che frenare le scelte dei comuni intenzionati ad agire in tal senso, in una fase dove l’ingresso di ARERA sta già destabilizzando le decisioni in ordine alla formazione del piano economico finanziario per il 2020. L’impressione è che nemmeno la prossima decisione delle sezioni unite potrà riuscire a scrivere la parola fine sulla vicenda.
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