Poche righe di disciplina senza accenni al potere di controllo dei comuni. L’imposta di soggiorno, reintrodotta nel nostro ordinamento con il decreto sul federalismo municipale 23/2011, è un comma di poche righe in due capoversi: il primo per dire che l’imposta è a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, da applicare in proporzione al prezzo sino a 5 euro per notte di soggiorno; il secondo per vincolare la destinazione del gettito a interventi in materia di turismo, manutenzione e recupero dei beni culturali ed ambientali nonché di servizi pubblici locali. Come noto, le principali questioni che hanno interessato le decisioni del giudice amministrativo e contabile hanno riguardato la modalità applicativa dell’imposta e il maneggio del denaro pubblico da parte dell’intermediario. Questa imposta non offre come interlocutore il soggetto passivo bensì il gestore della struttura, che dispone delle somme incassate dal contribuente. Cosa è accaduto dal 2011 a oggi? Anzitutto il giudice amministrativo ha avallato la commisurazione dell’imposta di soggiorno alla classificazione delle strutture in luogo del prezzo del pernottamento che, a ben vedere, spezza il legame con la ricevuta fiscale emessa, rendendo ben più difficile la richiesta di esibizione di documenti fiscali necessari per comprendere il volume delle presenze. Anche sulla prova di pagamento la norma tace generando un caos nella gestione. La prima carenza di cui soffre l’ente impositore è l’inesistenza di dati certi sulle presenze. I dati trasmessi ai fini della pubblica sicurezza e ai fini statistici da parte delle attività sono coperti da insuperabile limite di privacy! Anche se a ben vedere, al comune non servono i nomi dei soggiornanti bensì i numeri delle presenze per struttura. Aggiungiamo che la Corte dei Conti Veneto Sezione controllo parere 19/2013, dopo aver qualificato i gestori come agenti contabili, ha poi declinato la versione in subagenti del comune che, a questo punto deve correre ai ripari (vedi Corte dei Conti sezione giurisd. Reg. per l’Emilia Romagna – inaugurazione anno giudiziario 2015) attivando una serie di azioni in grado di rispondere a esigenze minime di gestione. La prima azione, ben vista dalla Corte dei conti, è l’attivazione di un sistema di accreditamento obbligatorio verso tutte le strutture tenute a chiedere e riversare l’imposta pagata. In questo modo il comune conosce chi sono i suoi subagenti e può individuare facilmente chi non si è fatto vivo in alcun modo. La seconda: introdurre l’obbligo amministrativo di riversamento delle somme incassate con cadenza stretta rispetto all’incasso e l’obbligo di dichiarare le presenze con le relative esenzioni d’imposta, altra possibile fonte di evasione. La terza: obbligare i gestori alla presentazione del conto di gestione annuale sul quale l’ente, che assolve alla funzione di collettore, eseguirà il giudizio di parifica per l’invio alla Corte dei Conti. La quarta: attivare un sistema di controlli da definire con apposito atto, dando priorità al monitoraggio sui riversamenti omessi per intervenire con una prima lettera di richiamo e, in caso di perdurante inadempimento, diffida scritta. Consapevoli che l’ente non è munito di poteri di accesso ispezione e verifica, il comune resta vincolato alla disponibilità del gestore nell’esibire documenti o minacciare il ricorso alla Guardia di Finanza. Mentre è possibile procedere con la fase di riscossione anche coattiva quando si hanno evidenza della base imponibile (ad es. perché dichiarata ma non versata) molto difficoltosa resta la gestione dell’evasione totale. L’ente è in tal caso privo di una base di partenza sulla quale fondare una richiesta di pagamento. Resta la possibilità di interpellare l’Agenzia delle Entrate ma nella realtà, manca un elemento fondamentale per far funzionare questa imposta: la base imponibile di raffronto rispetto al dichiarato e versato. Una lacuna che può giustificare i limiti dell’attività dei comuni che, in ogni caso, devono garantire un sistema di gestione idoneo al controllo del sub agente che opera sul territorio. Va ricordato che i comuni che hanno introdotto l’imposta sono già 640 nonostante l’ostilità delle associazioni di categoria. E’ una forma di prelievo completamente diversa dagli altri tributi locali che, se non monitorata con cura, favorisce l’appropriazione indebita di somme che vengono chieste ma non riversate all’ente. Urge un restyling che strutturi gli obblighi delle parti coinvolte. Nel frattempo, la peggior cosa che può fare un comune è non attrezzarsi.
Commenta per primo