Due decisioni di rilievo, assunte in pochi giorni, hanno respinto la possibilità di riconoscere ai gestori delle strutture ricettive aggi o altre forme di compensi o rimborso spese, per le attività correlate agli adempimenti dell’imposta di soggiorno.
Si tratta di due pronunce diverse, una resa da un tribunale amministrativo e l’altra sottoforma di parere da parte della Corte dei Conti nelle quali si evidenzia che, non solo trattasi di adempimenti contabili semplici, ma che tra le finalità di utilizzo del gettito del tributo di scopo, qual è l’imposta di soggiorno, non può rientrare il riconoscimento di un compenso per la gestione della medesima, pena il danno erariale.
In merito alle richieste avanzate dai gestori sul riconoscimento di un aggio per l’incasso del tributo, il Tar Lazio, con sentenza 11950/2018 ha chiarito che nulla è dovuto in quanto trattasi di attività meramente strumentali di cui sono onerate le strutture recettive, che non possono ritenersi né particolarmente difficoltose né gravose per operatori professionali e ciò, in primis, per quanto attiene proprio agli obblighi informativi che già sul piano generale costituiscono adempimento doveroso nei rapporti con i clienti per qualunque operatore.
Ad analoga conclusione è pervenuta la Corte dei Conti della Campania che, con parere 114/2018, nega la possibilità di riconoscere le spese ai gestori mediante una sorta di aggio trattenuto sull’imposta.
Il quesito posto dal Comune alla sezione della Corte riguarda la possibilità di inserire nel regolamento comunale dell’imposta di soggiorno, il ristoro delle spese per la gestione e la riscossione dell’imposta di soggiorno precisando, in proposito, che “il ristoro andrebbe calcolato in misura percentuale (ad esempio 1%) sull’importo totale annuo incassato al 31 ottobre e sarebbe direttamente incamerato dalle singole strutture ricettive detraendolo dall’ultimo riversamento mensile da effettuarsi entro il 15 novembre ovvero, in caso di incapienza, portandolo in compensazione sul primo riversamento dell’anno successivo”.
La risposta della Corte è negativa, per tre ragioni:
- a) in primo luogo, perché, come osservato da Cass. pen. Sez. VI, sentenza n. 32058/2018, “Non emergono […] profili di irragionevolezza nell’attribuzione della qualifica in questione [agente contabile] a tutti i gestori di strutture alberghiere, a prescindere dalla loro dimensione. Anche un imprenditore individuale, in ipotesi privo di dipendenti o collaboratori, è evidentemente in grado di adempiere agli obblighi previsti dalle su citate norme regolamentari. Né, tanto meno, sono ravvisabili profili di gravosità negli obblighi strumentali alla riscossione dell’imposta previsti dai regolamenti comunali: a prescindere dal fatto che gli stessi, come osservato dal Consiglio di Stato, sono conformi alle leggi di contabilità pubblica, si tratta di obblighi facilmente gestibili per qualsiasi operatore del settore e che comportano, in estrema sintesi, una mera separazione contabile degli incassi a titolo di imposta di soggiorno rispetto a quelli rivenienti dall’esercizio dell’attività di impresa, ai fini della relativa rendicontazione e del versamento nei confronti del Comune”;
- b) in secondo luogo, perché il Comune richiedente il parere non specifica in alcun modo in che cosa consisterebbero le spese de quibus, tanto da necessitare il prospettato ristoro;
- c) in terzo luogo -e soprattutto- perché la modalità indicata per la realizzazione del ristoro medesimo, consistente nella detrazione dagli stessi importi riscossi a titolo di imposta di soggiorno, è sonoramente contrastante con la natura, che essa riveste, di “imposta di scopo”, in quanto avente un vincolo di destinazione, essendo il relativo gettito finalizzato a finanziare interventi in materia di turismo, interventi a sostegno delle strutture ricettive, interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali nonché i servizi pubblici locali riguardanti gli interventi innanzi visti. Finalizzazione, quest’ultima che garantisce alle medesime strutture ricettive un vantaggio che, seppur in modo mediato, si rivolge direttamente ad esse, consistendo appunto in interventi destinati al sostegno loro e del settore in cui esse operano.
Si deve pervenire alla conclusione secondo cui, allo stato, ovvero in assenza di una qualsivoglia norma primaria, o regolamentare (statale) di attuazione della disciplina della riscossione della più volte menzionata
imposta di soggiorno, l’eventualità della previsione di un “rimborso spese” collegato alla sua gestione pertenga ad un’area coperta da “riserva di amministrazione”, come tale rimessa alla discrezionalità propria dell’Ente, da esercitare secondo i ben noti canoni di “giustificatezza e ragionevolezza” che si pongono alla base dell’esercizio di ogni pubblica potestà, ivi compresa quella legislativa (ex art. 3 cost.), da esprimere mediante congrua ed adeguata motivazione, idonea ad indicare la compiutezza dell’acquisizione degli interessi da valutare e il loro pieno, effettivo, equo e razionale bilanciamento.
E’ evidente, infatti, che un uso inappropriato del cennato potere discrezionale è suscettibile di determinare danno erariale da sottoporre a risarcimento, ovvero far incorrere in responsabilità amministrativo-contabile.
Ove il Comune intenda comunque prevedere un “ristoro” delle spese, ciò non potrà avvenire se non a carico del bilancio dello stesso Ente mediante un capitolo non interferente con quello in cui confluisce il gettito dell’imposta di soggiorno al quale afferiscono dei vincoli di destinazione nonché a fronte di adeguata documentazione a riprova di tali spese e certamente non sulla base di una loro quantificazione effettuata in via del tutto presuntiva.
Non possiamo leggere nelle parole della Corte dei Conti un divieto assoluto, bensì un diniego che respinge la categoria dei compensi nonché la possibilità di trattenere parte del gettito del tributo. L’apertura della Corte è circoscritta al rimborso spese documentato e finanziato da altre risorse economiche: una situazione quasi impraticabile che costringerebbe a un lavoro amministrativo antieconomico.
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